La pandemia ha interrotto il costante flusso di relazioni, anche commerciali, che caratterizza l’età contemporanea e ha rappresentato uno straordinario acceleratore di processi già delineati da decenni. La Digital Transformation da sfida si è trasformata così in improrogabile necessità, visto che gli eventi ci spingono a ripensare prontamente i modelli di vendita e, di conseguenza, le strategie del retail.
Digital Transformation e “smaterializzazione”
Pur con tutte le distinzioni fra B2B e B2C, è indubbio che il ruolo del venditore dovrà riconfigurarsi, arricchendosi di nuove competenze, non solo digitali, perché sapersi muovere in un mondo che va sempre più “smaterializzandosi”, cercando comunque di preservarne “il calore umano”, non è semplice.
Per account, venditori e consulenti che si ritrovano a usare solo la voce attraverso il telefono o la presenza online nelle videoconferenze, significa evidentemente ripensare il proprio ruolo in una declinazione nuova.
Si può presupporre ragionevolmente che questa digitalizzazione delle relazioni e degli scambi commerciali sarà in gran parte mantenuta anche dopo la pandemia, per quanto in uno scenario così mutevole e complesso fare previsioni è più che mai difficile.
Sicuramente sarà necessario ripensare la Customer Experience in chiave digitale, ridisegnando processi di vendita con un’offerta sempre più omnichannel (quindi puntando su e-commerce proprietari e su marketplace esterni) e in modo da preservare quel dialogo e quel filo fatto di empatia e fiducia necessarie con i clienti in tutte le fasi del processo di acquisto, dalla considerazione al post-vendita.
Il digitale sarà giocoforza sempre più presente in ogni aspetto della vita aziendale, il panorama sarà sempre più contactless e i punti vendita tenderanno alla “dematerializzazione” e tutto questo muterà inevitabilmente anche le strategie necessarie in-store, che costituiscono un costo crescente.
Con la pandemia abbiamo visto i valori di consumo cambiare inesorabilmente e alcune categorie coinvolte particolarmente — come le compagnie aeree, l’alberghiero, la ristorazione, l’intrattenimento, lo sport e l’abbigliamento —, hanno messo in campo strategie di adattamento che hanno richiesto notevole dispendio di energia, in un contesto sempre mutevole.
I cinque sensi
Sappiamo che la parte inconscia della nostra mente ha una grande influenza sui processi di decisione e per questo il neuromarketing usa da decenni i sensi per creare un’esperienza di acquisto in linea con il brand e sfrutta determinati inneschi per agire sulla rete semantica del nostro cervello.
Quello che in questi tempi è rilevante è il fatto che ben tre dei cinque sensi — tatto, gusto e olfatto — non sono riproducibili attraverso lo schermo: l’olfatto soprattutto riveste un ruolo primario, perché ha il potere di far riaffiorare ricordi ed emozioni. È collegato al sistema limbico del cervello, quello deputato alle emozioni e ai ricordi, ma solo l’olfatto salta il passaggio del talamo e si dirige direttamente al bulbo olfattivo, che coadiuva il cervello nell’elaborazione degli odori. Le reazioni che si scatenano sono potenti perché non hanno filtri razionali, si imprimono a lungo e per questo hanno un potere suggestivo ed evocativo fantastico.
Per quanto da anni si favoleggi circa la possibilità di veicolare i profumi e gli odori attraverso un computer, alla stregua di vibrazioni di particelle come i suoni, e si arrivi a ipotizzare un internet dei sensi come compimento del metatarso in cui reale e virtuale si compenetrano, a oggi il coinvolgimento diretto dei sensi resta una tappa imprescindibile per smuovere emozioni profonde.
Prospettive future
Sarà necessario uno sguardo attento per integrare informazioni che senza la presenza fisica rischiano di disperdersi indebolendo la Brand Identity,perché se il personale lavora da remoto la gestione di flussi e processi diviene più complicata, mentre i messaggi provenienti dai vari canali che afferiscono a persone diverse rischiano di non confluire adeguatamente in una lettura attenta. Inoltre, perdendo il rapporto in presenza con i clienti in-store, si rischia di perdere feedback situazionali importanti per un adeguato Customer Relationship Management.
Per raccontare tutto questo sarà necessario costruire narrazioni attraverso format e media sempre più interconnessi, che si rivolgeranno alle persone coinvolgendole con implicazioni di Advocacy e quindi chiamandole a patrocinare in prima persona, ricoprendo il ruolo di attori e non di meri target.
Le sfide
Le sfide restano aperte su molti fronti: come colmeremo la distanza inevitabile; quali forme di distanza sostanzieranno le interazioni; come si adatterà il nostro codice antropologico alle varie forme di prossemica che si dovranno riconfigurare a fronte della pervasività della tecnologia disponibile attualmente e di quella a venire, che possiamo solo prefigurare come fantascientifica; infine, come avverrà la nostra integrazione con l’Intelligenza Artificiale, che ci consegna sempre più a un futuro cyborg dal sapore distopico.
Le aziende dovranno quindi essere capaci di centralizzare il flusso di informazioni, sapendole interpretare, elaborandole poi in correttivi preziosi.
Per esempio, si può osservare che dalle informazioni desumibili dalle interazioni online si possono trarre dati utili sia per la produzione che per la vendita. Il punto vendita fisico non è più il touchpoint di elezione per acquisire informazioni sul proprio target, anzi, al contrario di quello che è sempre avvenuto, dalle interazioni digitali si stanno prendendo informazioni utili a profilare il proprio pubblico ed è proprio con questi dati che sarà possibile pensare a strategie su come accogliere poi i clienti in negozio nella maniera più gradita e con la giusta store atmosphere.
In futuro sarà vincente chi riuscirà a padroneggiare questa complessità di fenomeni, umani e tecnologici, chi saprà mantenere un flusso vivo con il proprio pubblico in coerenza con l’identità del marchio.
Se vuoi formare il tuo team per saper fronteggiare la vendita nei vari canali, scrivimi.