Vivere la vita di un’azienda genera le stesse dinamiche del vivere aggregato delle società, nel bene e nel male. Si generano, infatti, appartenenza, cooperazione e fiducia ma anche pregiudizi, ingiustizie e, nel peggiore dei casi, molestie.
Chi si occupa di azienda deve tenere in considerazione il benessere organizzativo e non solo la produttività, perché le due cose vanno di pari passo, e non può tralasciare di leggere la realtà nella complessità dei fenomeni che la attraversano, volgendo al contempo lo sguardo anche verso ciò che avviene nel dibattito all’interno del mondo delle risorse umane.
Cosa sono le politiche di Diversity & Inclusion
La radice di tutti i problemi sta proprio nella difficoltà di vivere le differenze inevitabili fra le persone, accogliendo il diverso da sé come parte di sé e non come nemico; spesso nei gruppi si ripropone il meccanismo del clan che porta a escludere chiunque non aderisca a un senso di appartenenza univocamente inteso.
In letteratura si definiscono rischi psicosociali quelli che si generano nell’interazione del soggetto con un determinato ambito sociale, appunto, che in un contesto organizzativo oggi sono sorvegliati dalla più ampia disciplina della sicurezza sul lavoro, con dovere di monitoraggio e di interventi riparartivi da parte dell’azienda.
Il timore della diversità crea fenomeni di intolleranza come la discriminazione,che si traduce in differenza di trattamento, lo straining (il mettere sotto pressione o demansionare) o il mobbing, che si concretizza in comportamenti vessatori protratti nel tempo, che generano nella vittima stress, disagio emotivo e danni psico-fisici, fino alla sindrome di burn-out.
Infine nei luoghi di lavoro si possono verificare molestie e molestie sessuali.
Quindi il fattore umano, la percezione e i vissuti entrano a pieno diritto nelle preoccupazioni di chi gestisce un’impresa. Per questo è necessario creare prassi virtuose, politiche e azioni sia a livello organizzativo (campagne di comunicazione, processi) che formativo, per sensibilizzare e far prendere consapevolezza a tutti i livelli circa l’importanza di creare ambienti liberi da comportamenti illeciti e discriminanti, in cui la comunicazione sia nonviolenta e quindi le persone possano vivere senza pressioni emotive e sociali e, all’occorrenza, possano avere la percezione che ci siano concreti aiuti a portata di mano.
Diversity, Equity, Inclusion
L’esercizio dell’empatia è in questo caso doveroso: occorre fare uno sforzo di astrazione da sé e chiedersi come si può sentire l’altro, quando sia oggetto di una qualche esclusione o di un comportamento persecutorio. In genere dinanzi a tali comportamenti l’identità stessa delle persone si problematicizza, si parcellizza, inizia un processo in cui ci si trincera in identità di copertura, con un rischio evidente di dissolvimento, perché l’onda d’urto è talmente violenta da minare il senso stesso dell’io.
Se in linea teorica tutti siamo contrari alla violenza e alla discriminazione, poi in realtà nella pratica si cozza inevitabilmente contro preconcetti, anche solo linguistici: per esempio nel dibattito su questi temi si sostiene che dovremmo parlare di varietà e non di diversità, proprio perché il diverso si definisce tale in relazione a qualcosa che ne rappresenta la regola, mentre la varietà è un concetto che indica un dato di fatto realistico senza giudizio di valore.
Un’altra riflessione lessicale relativa a queste tematiche riguarda la tensione obliqua esistente fra uguaglianza, equità e giustizia, perché dare a tutti indistintamente la stessa cosa e trattare tutti nella stessa maniera, può favorire anziché colmare le disuguaglianze. Le politiche devono quindi prevedere la possibilità di personalizzare gli approcci tenendo un ascolto attento alle esigenze individuali, cercando di costruire le condizioni della rimozione strutturale della disuguaglianza in una vera cultura inclusiva diffusa. Questa rimozione della disuguaglianza deve venire top/down dai vertici aziendali, ma occorre anche abilitare tutte le persone a essere agenti di cambiamento ed essere pronte a intervenire in situazioni di ingiustizia.
Promuovere l’inclusione deve significare, nei fatti, creare una cornice di contesto in cui il continuo scambio fra varietà non dia luogo a conflitti permanenti fra élite e minoranze, e nemmeno a tollerare blandamente le minoranze solo come ospiti o peggio come obolo da pagare a un multiculturalismo reso necessario dai tempi, ma un benefico arricchimento vitale.
Il valore aggiunto dell’inclusività
Parlare di inclusività può apparire un tema astratto o troppo filosofico, ma in realtà questo valore oggi è divenuto centrale e non più procrastinabile, non solo come riflessione ed enunciazione nei vari documenti come il Codice etico, a lungo vissuto solo come manifesto di belle speranze utopistiche. Al centro della riflessione vi è l’evidente necessità di prendere coscienza del bisogno di declinare i principi etici nelle pratiche quotidiane e nelle modalità relazionali.
Questo vale non solo come cittadinanza organizzativa e qualità di vita all’interno di un contesto aziendale, ma anche come potere di attrazione di un’azienda, sia in termini di Talent Attraction, perché nella scelta dell’azienda in cui lavorare i giovani talenti conferiscono un enorme peso al rispetto dell’inclusione, che di attrazione di investitori che prediligono sempre più rating sostenibili e aziende che investono in tale direzione.
Le aziende devono quindi impostare su tali direttive la dimensione sociale al proprio interno, devono saperlo comunicare e narrare con uno storytelling capace di veicolare i valori di inclusione, che si collegano a quelli della sostenibilità, coinvolgendo tutti gli stakeholder interni ed esterni. Un caso recente ha visto, ad esempio, la compagnia aerea elvetica rompere una lunga collaborazione con un’azienda, a causa di posizioni che attengono alla sfera delle credenze religiose che impattano sulle scelte morali degli individui.
Saper impostare Diversity Management e Inclusion Strategy
La gestione delle diversità si inserisce nel più complesso contesto della responsabilità sociale di impresa ed è tesa a migliorare la qualità della vita delle persone non solo dentro l’azienda. In questa logica si sta facendo strada una evoluzione del Work-Life Balance: dal vivere in armonia vita professionale e vita personale si passa al Work-Life Integration,dove l’accento viene posto non tanto sul bilanciamento fra le due sfere di vita ma sulla loro integrazione, facendole convivere in armonia. Va detto che la pandemia ha contribuito enormemente a riportare di grande attualità questa riflessione.
Il percorso nasce dunque come volontà di cambiare cultura organizzativa e mindset, e prosegue con la necessità di approntare una strategia e un metodo per creare un approccio integrato in una visione olistica: integrare le diversità e aderire a una vera cultura inclusiva implica uno sforzo notevole di convergenza, per saper andare oltre agli stereotipi e alla tentazione di uniformare ciò che è eterogeneo. Per fare questo bisogna saper prendere consapevolezza e metabolizzare impronte ideologiche e dogmatiche adottando condotte che tutelino una sfera che tocca tanti ambiti della vita e quindi da trattare con estrema delicatezza, perché entra in gioco la vulnerabilità delle persone.
Mettere al primo posto una riflessione onesta sui pregiudizi e sui bias che ognuno di noi può avere in sé, anche come portato culturale, è una delle occasioni evolutive che i nostri tempi ci indicano come imprescindibile per mettere le persone in condizione di dare il meglio di sé e del proprio talento, sentendosi appartenenti a un progetto, a un’azienda, a un gruppo. In ultima analisi, porsi la questione della diversità implica confrontarsi con i limiti di un soggettivismo preso come metro di misura del mondo e come riflessione sul pensiero che esista una qualunque egemonia (che in quanto cultura dominante funga da élite che mette in campo una discrezionalità escludente), che si declini in modo sociale, culturale, religioso e che renda possibile un noi da cui qualcuno sia legittimamente estromesso.
L’azienda diviene così anche un luogo di mediazione interculturale in cui fattori eterogenei che potrebbero sviluppare conflitti divengono invece una leva trasformativa.
Ambiti di tutela da considerare
Sono molteplici gli ambiti da considerare nel voler adottare uno sguardo sensibile alla varietà della natura umana e delle trasformazioni della nostra società.
Numerosi fattori personali sono infatti suscettibili di divenire oggetto di discriminazione:
- Età
- Lingua
- Appartenenza etnica
- Genere e orientamento sessuale
- Disabilità
- Religione
- Estrazione sociale
- Livello di formazione
- Ruolo organizzativo e rapporto contrattuale
- Reddito
- Convinzioni politiche
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